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C’è da
contestare l’idea revisionista, prevalsa prima in U.R.S.S. e poi in Cina, dove
l’avanzata del socialismo era fatta coincidere con l’aumento del P.I.L. (prodotto
interno lordo) e del capitale costante (più i macchinari) in generale, e non
con l’estinzione del lavoro salariato, della divisione tra lavoro manuale e
lavoro intellettuale, della divisione tra campagna e città, della natura di
merce del prodotto del lavoro e dei lavoratori (che possono essere assunti e
licenziati a discrezione delle esigenze aziendali, che sono costretti a vendere
la loro forza lavoro ecc.). Ora, in merito a questo argomento, per noi
comunisti non abbiamo nulla a che fare col produttivismo demente ma neanche con
le nostalgie
de tempi della “trazione animale” e della piccola produzione. Per noi ogni aumento
della produttività va connesso, non con l’aumento della produzione, ma con la
riduzione dell’orario di lavoro.
Voglio
precisare, che ai tempi di Lenin, non aveva senso parlare di riduzione della
produzione. Nel caso della rivoluzione socialista in occidente, si pensava che
fosse compito dei governi proletari europei, in particolare
quello che si sperava s'instaurasse in Germania che era il paese europeo più industrializzato,
aiutare i paesi rimasti indietro.
In una
società socialista (transizione verso il comunista) non avrebbe senso la
continua sostituzione di macchinari, che nel capitalismo hanno lo scopo di
vincere la concorrenza, dovrebbero aumentare i consumi indispensabili (come
quelli sociali) perché il capitalismo taglia proprio quelli, mentre concedere
il superfluo (dell’industria della moda credo che se ne possa fare a meno),
perciò occorre un'economia pianificata che concentri la produzione nei campi
più necessari, che rompi i limiti angusti dell’azienda, che si lotti per l’abolizione
delle carriere e titoli, contro la specializzazione professionale e la
divisione sociale del lavoro. Non ci deve essere più chi, per tutta la
vita, dovrà fare il manovale o restare dietro una scrivania, ma le attività dovranno
essere distribuite, tenendo conto ovviamente della preparazione, ma senza muri
insuperabili tra un lavoro e l’altro. Ci dovrebbe essere l’arresto
delle costruzioni intorno alle città e la popolazione dovrebbe essere distribuita
sul territorio, col superamento del contrasto tra città e campagna.
Gli
uomini e le donne nel socialismo sicuramente avranno problemi enormi lasciti in
eredità da questa fase antisociale e criminale del capitalismo, avranno
problemi di bonifica dell’ambiente, dovranno impiegare la dinamite per demolire
rapidamente l’enorme quantità di costruzioni inutili o speculative, restituire
all’agricoltura spazi sottratti per riserve militari o per ville miliardarie.
La scienza e la tecnica, liberate dal servaggio del capitale, delle catene dei
brevetti, potranno trovare le soluzioni che accorderanno industria e natura.
Marco Sacchi
25 agosto 2008